Kamala Harris storia di una donna americana e tanti primati
Il 1 agosto 1984 Geraldine Ferraro, prima donna e unica italoamericana candidata alla vicepresidenza degli Stati Uniti, stava facendo campagna elettorale insieme a Walter Mondale in Mississipi, uno stato del sud conservatore. Un politico locale, settantenne colpito dal terribile virus del maschilismo per il quale ancora non è stato trovato un vaccino, le si avvicinò e le chiese:
“Sai cucinare un muffin al mirtillo?”
“Certo – rispose la Ferraro – e tu?”
“Nel Mississipi gli uomini non cucinano” replicò il politico locale.
Una risposta che finì su tutti i giornali, passò alla storia e le costò la simpatia dell’elettorato più moderato e conservatore che la percepì come troppo aggressiva e poco rispettosa degli anziani. I commentatori politici parlarono di un errore tattico. Non avrebbe dovuto essere così diretta.
Da allora sono passati 36 anni e negli Stati Uniti le donne hanno fatto molta strada, ma non abbastanza da arrivare alla Casa Bianca. Hillary Clinton ci ha provato senza riuscirci a rompere quel soffitto di cristallo, ma proprio grazie a lei oggi nessuno si stupisce più se una donna punta a diventare presidente degli Stati Uniti. Hillary ha aperto un’autostrada e dopo di lei nelle elezioni di medio termine tante donne sono arrivate al Congresso, nei parlamenti degli stati e sulle poltrone di sindache.
Kamala Harris, 55 anni senatrice della California, madre scienziata indiana Tamil, padre economista giamaicano è stata scelta non a caso da Biden, che aveva un elenco di 12 donne tra cui districarsi. La Harris era la favorita per la sua storia complessa e multiculturale. Viene dalla buona borghesia americana, ma anche indiana, ha fatto le scuole giuste e ha quella storia familiare e culturale che la rende gradita ad un ampio elettorato che va dagli afroamericani agli asiatici alle minoranze in generale. L’identità è un problema molto serio nella società americana.
“Mia madre, donna single dopo il divorzio, aveva capito che doveva crescere le sue due bambine come donne di colore negli Stati Uniti dove era stata accolta”, ha scritto la Harris nella sua biografia The Truth We Hold. “Era determinata a fare in modo che noi ci sentissimo sicure e orgogliose della nostra identità di donne nere”. E così la Harris racconta di avere frequentato la Chiesa afro americana, di essere andata all’asilo dove sulle pareti erano appesi i poster di Harriet Tubman e Frederick Douglass due icone delle battaglie per i diritti dei neri, di essere stata parte di un progetto di integrazione dei bambini neri nelle scuole dei bianchi e di avere frequentato la famosa Howard University, storico ateneo amato dai neri.
Ma se la sua identità culturale è afro americana, la Harris vanta anche radici culturali indiane, perché il legame della madre con la terra d’origine è stato sempre forte e Kamala quando era bambina ha passato periodi anche dai nonni in India, restando influenzata dal nonno alto funzionario del governo che aveva combattuto per l’indipendenza.
La madre, attivista dei diritti civili e ricercatrice sul cancro, è stata una figura chiave nella crescita culturale della Harris che è una moderata e non fa paura neppure a quell’elettorato bianco che i democratici sperano di strappare a Trump. Quando era procuratrice generale in California si è fatta notare per i suoi metodi intransigenti con gli immigrati clandestini. “Sono un’americana orgogliosa e sono come sono”, ha risposto di recente ad un giornalista che le chiedeva quali fossero le sue radici.
Kamala Harris è una donna dai tanti primati ed è già entrata nella storia solo per essere diventata la prima donna di colore, la prima indiana americana e la prima asiatica americana candidata alla vicepresidenza. La Harris è stata anche la prima candidata di colore alla presidenza degli Usa. Durante le primarie, prima di ritirarsi dalla corsa, non ha esitato ad attaccare Joe Biden per la sua contrarietà proprio sul trasferimento dei bambini di colore dei quartieri più poveri nelle scuole delle aree più benestanti. Una questione che le sta a cuore: “C’era una piccola bambina della California che faceva parte di un programma di integrazione nelle scuole pubbliche e che ogni giorno veniva trasportata in bus a scuola – ha detto la Harris a Biden accusandolo di essersi opposto al progetto. Quella bambina – ha aggiunto – ero io”.
Biden spiegò che la sua non era una opposizione all’integrazione ma al fatto che fosse un programma imposto dal ministero dell’istruzione. Comunque ormai è acqua passata, Biden ha fatto la sua scelta e nelle prossime settimane lo vedremo fare campagna elettorale con la Harris. Chissà se insieme riusciranno a mobilitare quell’elettorato democratico afroamericano e delle minoranze che è necessario vada a votare in massa per sconfiggere Donald Trump. Intanto il miliardario li ha già sistemati con una delle sue battute al vetriolo: “Sono perfetti insieme, sbagliati per l’America” e si è lanciato ad elencare quello che non sopporta della Harris. Tutto secondo copione, ma con la Harris al fianco di Biden la strada per Trump si fa molto più faticosa
preso VNY la voce di New York
2 luglio 2024