Il 28 agosto 1963, davanti a 250.000 persone col fiato sospeso, il reverendo, attivista e pacifista convinto Martin Luther King pronunciò un discorso di 17 minuti che passò alla storia come I have a dream, per l'espressione che nell'ultima parte dell'accorato discorso ricorre retoricamente più volte.
Davanti al Lincoln Memorial di Washington, alla fine di una lunga e partecipatissima marcia per i diritti civili delle persone afrodiscendenti, King sapeva di stare per scrivere la storia: da quel momento la lotta contro il razzismo e la segregazione razziale ha trovato in quel discorso e in quelle parole nuova linfa vitale.
Cosa sognava Martin Luther King?
Il sogno di Martin Luther King, assassinato nel 1968, era quello di vedere finalmente il suo Paese, gli Stati Uniti d'America, considerare suoi figli sia i i bianchi che i neri, e dove tutti, a prescindere dal colore della pelle, potessero essere considerati liberi ed uguali. Un'America in cui «i figli degli ex schiavi e i figli degli ex padroni di schiavi potranno sedersi insieme alla tavola della fraternità». Un'America in cui «i bambini neri e le bambine nere potranno prendere per mano bambini bianchi e bambine bianche, come fratelli e sorelle».
Il discorso e l'improvvisazione
Secondo quanto raccontato dai cuoi collaboratori, i primi sette paragrafi del discorso che MLK pronunciò erano stati sviluppati su carta da lui stesso, quindi in qualche modo facevano parte di una scaletta preparata in anticipo. La parte più potente e che è rimasta nella storia (oltre che studiata da linguisti e scrittori per la sua potenza retorica) pare che sia invece frutto dell'improvvisazione e della bravura oratoria di King.
Si narra che a un certo punto del discorso la famosa cantante gospel Mahalia Jackson, che aveva aperto la marcia, disse a King "Parla del sogno, Martin!", così il reverendo ha messo da parte i fogli e il catenaccio e a cominciato a parlare a braccio. Certamente la spontaneità e la carica emotiva hanno reso immortale il sogno di MLK.
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