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sabato 16 aprile 2022

Gesù

                  Zeffirelli e Robert Powell sul set di ''Gesù di Nazareth''

Franco Zeffirelli. «Perché ho accettato di girare la storia di Gesù»

Il suo film del 1977 fu visto da 700 milioni di persone. Il grande regista, morto il 15 giugno, ne parlò con Litterae Communionis all'indomani del debutto in tv. Erano altri tempi, ma la sfida di quella pellicola resta intatta

Settecento milioni di persone che guardano contemporaneamente lo stesso film è un fatto che sgomenta solo a pensarci. Chissà come si deve sentire il regista che ha avuto l'avventura di girarlo. Con Franco Zeffirelli abbiamo parlato di questo e di molto altro, nell'ora e mezza in cui siamo stati insieme. E ce ne siamo andati con la convinzione di avere incontrato un uomo umile quando parla di sé come regista e tenace quando la posta in gioco è la propria identità di cristiano. C'è un aneddoto che vogliamo subito raccontare a proposito di questa intervista. Tornando da Roma, proprio dopo l'incontro con Zeffirelli, ci fermiamo ad un autogrill per mangiare. Sono le nove. C'è la televisione accesa e non si sente nessun altro rumore. Tutti stanno guardando il “Gesù”. Le pietanze si freddano nei piatti, quattro camerieri in fila, con il loro tovagliolo sotto il braccio, hanno lo sguardo alla TV. Uno di loro si avvicina, cortese ma distratto. Ordiniamo, distratti anche noi, già presi da quanto avviene sullo schermo. Il cameriere non si allontana, rimane accanto a noi a guardare. Sta entrando in scena Pietro, preceduto dalla sua voce «Ci mancava un altro profeta, abbiamo altro a cui pensare noi... ma se potrà risolvere i nostri problemi, allora lo ascolteremo». Il linguaggio è semplice, roba di tutti i giorni e, con questa semplicità, il messaggio di questo “Gesù” entra nei cuori di tutti. Finito il progrQuesto “Gesù di Nazareth” ha ottenuto, dicono i giornali, il più alto indice di gradimento di questi ultimi anni. Il 41 per cento degli intervistati per stabilire l'indice, ha risposto che il programma interessava moltissimo, il 43 per cento ha detto «molto», il 14 per cento «discretamente», il 2 per cento ha risposto «poco». Nessuno ha risposto «niente».
E mentre 700 milioni di persone stanno incollati al televisore, si scatena la sarabanda dei critici. È ovvio, tutti hanno da dire qualcosa; non invidiamo Zeffirelli, più che mai nell'occhio del ciclone, anche noi siamo tentati di dire la nostra, di fare le nostre osservazioni, di dire che secondo i nostri gusti la musica non ci convince del tutto, che alcuni effetti ci sembrano eccessivi, che la narrazione a tratti sembra molto spezzettata... Eppure più che criticare ci sentiamo di difendere nel suo complesso un’opera del genere.
Non è infatti cosa da poco sapere rendere accessibile ad una massa così grande di persone un racconto simile, per giunta spesso filtrato attraverso le citazioni visive di moltissimi quadri della tradizione artistica cristiana. Ma è avvenuto, e la semplicità del messaggio non è stata impedita, anzi.
Ma prima di dare spazio all'intervista con Zeffirelli, vorremmo citare alcune prese di posizione del mondo “laico”. Dalle col Dalle colonne della Repubblica si lanciano deliranti proclami perché la commissione parlamentare di vigilanza intervenga, in quanto il film farebbe una troppo smaccata propaganda ai «cattolici»; nei corridoi della Rai si afferma che i socialisti hanno chiesto ufficialmente che il film termini senza l’episodio della Resurrezione... infine, un critico del Giorno sostiene «come è inverosimile questo Cristo che beve un drink seduto insieme agli amici, poi si alza e pronuncia il Verbo». Ecco, al fine, che cosa dà realmente fastidio: che Cristo, Figlio di Dio, agisca normalmente, come uomo in mezzo agli uomini. A significare che il suo incontro è una cosa che tutti gli uomini possono fare, con semplicità, in qualunque momento, come è successo a Pietro, a Matteo e a tutti gli altri. Questa è la cosa che, per quanto abbiamo visto fin’ora, il Gesù di Zeffirelli ha saputo dimostrare a tutti. E già per questo ci piace.
 


 17 aprile 2022 

 da CL - Litterae Communionis, 4/1977)

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